Utile saperlo

Investimenti 4.0 e oneri/costi accessori e acconto del 20%

Avviso. Questo articolo contiene considerazioni fiscali che non sono la mia materia. Lo scrivo perché non ho trovato altrove un inquadramento chiaro della questione. Sicuramente il vostro fiscalista ne saprà di più.

Costi accessori di un investimento 4.0

Ogni investimento può comportare costi accessori. Sono esempi il trasporto, l’allacciamento idraulico o elettrico, l’allacciamento alla rete per l’interconnessione, opere murarie nella sede dell’installazione.

Gli oneri accessori di diretta imputazione al bene materiale, sono parte dell’investimento, riferendoci all’OIC 16, paragrafo 6:

I costi accessori d’acquisto comprendono tutti i costi collegati all’acquisto che la società sostiene affinché l’immobilizzazione possa essere utilizzata e i costi sostenuti per portare il cespite nel luogo e nelle condizioni necessarie perché costituisca un bene duraturo per la società.

Come esempio, se non allaccio il bene ad un quadro elettrico difficilmente potrà essere utilizzato quindi quel costo deve essere considerato parte dell’investimento.

La normativa degli incentivi 4.0 prevede che il costo dell’investimento sia determinato secondo il TUIR articolo 110 comma 1 lettera b che fa appunto riferimento anche agli oneri accessori di diretta imputazione.

Il tutto riassunto e chiarito dalla circolare 152/E del 15 dicembre 2017 dell’Agenzia delle Entrate:

Al riguardo si precisa che, ai fini della quantificazione del costo rilevante agli effetti dell’iper ammortamento, rilevano anche gli oneri accessori di diretta imputazione come previsto dall’articolo 110, comma 1, lettera b), del TUIR e che per la concreta individuazione dei predetti oneri occorre far riferimento, in via generale, ai criteri contenuti nel Principio contabile OIC 16, indipendentemente dai principi contabili adottati dall’impresa.

Ovviamente si parlava di iper-ammortamento, ma le considerazioni valgono anche per successivi incentivi con credito di imposta.

Perché ci interessa?

Ci sono due motivi:

  1. possiamo includere costi “extra” a quello del puro bene materiale;
  2. dobbiamo fare due calcoli quando si parla di acconto del 20%.

Includere i costi accessori

Ci sono costi accessori che possono essere economicamente rilevanti e la loro inclusione nel costo totale permette di abbassarne l’impatto.

Bisogna però stare attenti che i costi devono essere direttamente imputabili, quindi la “generica” fattura dell’elettricista non va solitamente bene. Vi sarà di aiuto il fiscalista, ma dare indicazione precisa che il lavoro è relativo ad una certa macchina, magari inserendone la matricola, è probabilmente utile. E va ricordato che anche queste fatture necessiteranno delle diciture di legge.

Inoltre, evitate la fattura omnicomprensiva dei 1000 lavoric he sono stati fatti in azienda, partendo dall’allaccio della nuova macchina al cambio delle lampadine negli uffici…

Attenzione anche ai costi accessori che sono in impianti di servizio. Ad esempio, la realizzazione di un quadro elettrico per alimentare il nuovo bene potrà essere inclusa solo in quota parte, se il quadro andrà a servire anche altre macchine (subito o in futuro). Vedete la pagina 9 e 10 della circolare MiSE 23 maggio 2018 n. 177355 che trovate nell’area Normativa 4.0.

Il problema (o l’occasione) dell’acconto del 20%

Come tutti ormai sappiamo, ordinando un bene e dando un acconto del 20% (almeno) possiamo utilizzare l’incentivo in vigore nell’anno dell’acconto anche se il bene viene consegnato in quello successivo (o entro le date di volta in volta previste).

Se però un bene mi costa 100.000 euro e pago un acconto di 20.000, eventuali costi accessori che vanno inclusi nel costo dell’investimento, mi “comprometterebbero” l’acconto e quindi l’utilizzo dell’incentivo che avevo “bloccato” con l’acconto.

Ad esempio, bastano 5.000 euro di elettricista da sommare ai 100.000 euro per portare l’acconto a meno del 20%.

La prima opzione è quella di dare un acconto maggiore per coprire costi non noti ma che ci saranno e andranno imputati all’investimento (a seguire qualche nota in merito).

Visto che ci si pensa sempre dopo, vi riporto alcune considerazioni che ho recuperato (e quindi non opinioni personali):

  1. C’è chi ritiene che l’impegno dell’azienda nel fare l’investimento sia stato chiaramente preso con l’acconto del 20%; non potendo prevedere i costi accessori e tantomeno dare un acconto per questi, si mantiene l’incentivo bloccato all’anno dell’acconto ma nell’investimento di includono anche i costi accessori;
  2. C’è chi ritiene che i costi accessori, se vanno a compromettere l’acconto, debbano essere lasciati fuori dal conteggio del valore per il quale si chiede l’incentivo;
  3. C’è chi ritiene che si debba chiedere l’incentivo in parti separate: quello in vigore nell’anno dell’acconto per il valore del bene ordinato e quella dell’anno successivo per i costi accessori.

Il punto 2 è pericoloso, perché, come scritto in precedenza, per l’identificazione degli oneri accessori si deve far riferimento all’OIC16 indipendentemente dai criteri contabili dell’azienza. Questo potrebbe essere usato per decidere che certi costi l’azienda non li possa escludere.

Il punto 3 segue un po’ le logiche degli investimenti complessi distribuiti su più annualità per i quali esistono delle risposte dell’Agenzia delle Entrate.

Quale occasione?

E l’occasione dove è? L’occasione si nasconde nella variazione delle aliquote dell’incentivo che ha subito la norma. Il 2020 aveva una aliquota del 40%, mentre il 2021 del 50%.

Avendo dato un acconto nel 2020, e questo è stato ampiamente chiarito, mi blocco definitivamente su quell’anno, non ho possibilità di scelta. Ma se l’investimento comprende costi in più che “fanno saltare” l’acconto, dovrei poter utilizzare l’aliquota dell’anno successivo (che è più alta).

A questo punto il costo accessorio diventa una leva che mi permetterebbe di spostarmi da un anno all’altro per prendere l’incentivo che mi interessa.

Questi giochini potrebbero spingere l’Agenzia delle Entrate o il MiSE verso il punto 1 dei casi precedenti per fare maggiore certezza (ovviamente se ne parlerà quando inizieranno le contestazioni, è meglio curare che prevenire).

Ancora potrebbero stabilire che le attività accessorie sono tali entro un X% dell’investimento e che non compromettono l’acconto e che possono rientrare nel totale da incentivare.

Oppure ogni caso verrà trattato a sé magari con l’aiuto del TAR. 🙂

Riguardo l’acconto maggiorato

Non è stato mai chiarito se l’acconto debba essere dato a tutti i fornitori oppure debba essere calcolato sul valore totale dell’investimento (compresi gli ipotetici costi accessori) e dato (eventualmente maggiorato) solo ai fornitori principali.

Il buon senso ci suggerisce che sia sufficiente darlo solo ai fornitori con i quali si stipula un contratto. Per le attività accessorie (spesso fatte in economia), oltre a non sapere il costo finale è probabile che non sia nemmeno noto il fornitore che verrà scelto al momento dell’installazione.

Conclusioni

Il fatto di ricevere domande su questo tema, mi fa immaginare che o c’è chi sa e se lo tiene per se, o effettivemente nessuno ha ancora approfondito la questione.

Tant’è: va ricordato che la perizia è un documento che si occupa degli aspetti tecnici e non fiscali quindi non è il perito o l’ingegnere che deve dire l’ultima parola sul tema (anche se ad avvisare i clienti non si fa brutta figura…).

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Stefano Lissa

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